
LA
STORIA DI SANT'AGATA, SANTA PATRONA DI CATANIA
Sant’Agata il cui nome in
greco Agathé, significava buona, fu martirizzata verso la metà
del III secolo, alcuni reperti archeologici risalenti a pochi
decenni dalla morte, avvenuta secondo la tradizione il 5
febbraio 251, attestano il suo antichissimo culto.
Agata nacque nei primi decenni del III secolo (235?) a Catania;
la Sicilia, come l’intero immenso Impero Romano era soggetta in
quei tempi alle persecuzioni contro i cristiani, che erano
cominciate, sia pure occasionalmente, intorno al 40 d.C. con
Nerone, per proseguire più intense nel II secolo, giustificate
da una legge che vietava il culto cristiano.
Nel III secolo, l’editto dell’imperatore Settimio Severo,
stabilì che i cristiani potevano essere prima denunciati alle
autorità e poi invitati ad abiurare in pubblico la loro nuova
fede. Se essi accettavano di ritornare al paganesimo, ricevevano
un attestato (libellum), che confermava la loro appartenenza
alla religione pagana, in caso contrario se essi rifiutavano di
sacrificare agli dei, venivano prima torturati e poi uccisi.
Era un sistema spietato e calcolato, perché l’imperatore tendeva
a fare più apostati possibile che martiri, i quali venivano
considerati più pericolosi dei cristiani vivi. Nel 249
l’imperatore Decio, visto il diffondersi comunque del
cristianesimo, fu ancora più drastico; tutti i cristiani
denunciati o no, dovevano essere ricercati automaticamente dalle
autorità locali, arrestati, torturati e poi uccisi.
In quel periodo Catania era una città fiorente e benestante,
posta in ottima posizione geografica; il suo grande porto,
costituiva un vivace punto di scambio commerciale e culturale
dell’intero Mediterraneo.
E come per tutte le città dell’Impero Romano, anche Catania
aveva un proconsole o governatore, che rappresentava il potere
decentrato dell’impero, ormai troppo vasto; il suo nome era
Quinziano, uomo brusco, superbo e prepotente e circondato da una
corte numerosa, con i familiari, un numero enorme di schiavi e
con le guardie imperiali, dimorava nel ricco palazzo Pretorio
con annessi altri edifici, in cui si svolgevano tutte le
attività pubbliche della città.
Secondo la ‘Passio Sanctae Agathae’ risalente alla seconda metà
del V secolo e di cui esistono due traduzioni, una latina e due
greche, Agata apparteneva ad una ricca e nobile famiglia
catanese, il padre Rao e la madre Apolla, proprietari di case e
terreni coltivati, sia in città che nei dintorni, essendo
cristiani, educarono Agata secondo la loro religione.
Cresciuta nella sua fanciullezza e adolescenza in bellezza,
candore e purezza verginale, sin da piccola sentì nel suo cuore
il desiderio di appartenere totalmente a Cristo e quando giunse
sui 15 anni, sentì che era giunto il momento di consacrarsi a
Dio. Nei primi tempi del cristianesimo le vergini consacrate,
con il loro nuovissimo stile di vita, costituivano un’irruzione
del divino in un mondo ancora pagano e in disfacimento.
Il vescovo di Catania accolse la sua richiesta e durante una
cerimonia ufficiale chiamata ‘velatio’, le impose il ‘flammeum’,
cioè il velo rosso portato dalle vergini consacrate.
Nel mosaico di S. Apollinare Nuovo in Ravenna del VI secolo, è
raffigurata con la tunica lunga, dalmatica e stola a tracolla,
abbigliamento che lascia supporre che fosse diventata
diaconessa.
Il proconsole di Catania Quinziano, ebbe l’occasione di vederla
e se ne incapricciò, e in forza dell’editto di persecuzione
dell’imperatore Decio, l’accusò di vilipendio della religione di
Stato, accusa comune a tutti i cristiani, quindi ordinò che la
catturassero e la conducessero al Palazzo Pretorio.
Qui subentrano varie tradizioni popolari, che indicano Agata che
scappa per non farsi arrestare e si rifugia in posti indicati
dalla tradizione, in una contrada poco distante da Catania,
Galermo, oppure a Malta, oppure a Palermo; ma comunque ella
viene catturata e condotta da Quinziano.
Il proconsole quando la vede davanti viene conquistato dalla sua
bellezza e una passione ardente s’impadronisce di lui, ma i suoi
tentativi di seduzione non vanno in porto, per la resistenza
ferma della giovane Agata.
Egli allora mette in atto un programma di rieducazione della
ragazza affidandola ad una cortigiana di facili costumi di nome
Afrodisia, affinché la rendesse più disponibile. Trascorse un
mese, sottoposta a tentazioni immorali di ogni genere, con
festini, divertimenti osceni, banchetti; ma lei resistette
indomita nel proteggere la sua verginità consacrata al suo Sposo
celeste, al quale volle rimanere fedele ad ogni costo.
Sconfitta e delusa, Afrodisia riconsegna a Quinziano Agata
dicendo: “Ha la testa più dura della lava dell’Etna”. Allora
furioso, il proconsole imbastì un processo contro di lei, che si
presentò vestita da schiava come usavano le vergini consacrate a
Dio; “Se sei libera e nobile” le obiettò il proconsole, “perché
ti comporti da schiava?” e lei risponde “Perché la nobiltà
suprema consiste nell’essere schiavi del Cristo”.
Il giorno successivo altro interrogatorio accompagnato da
torture, tralasciamo i testi degli interrogatori per motivo di
spazio, del resto sono articolati diversamente da una ‘passio’
all’altra. Ad Agata vengono stirate le membra, lacerata con
pettini di ferro, scottata con lamine infuocate, ma ogni
tormento invece di spezzarle la resistenza, sembrava darle nuova
forza, allora Quinziano al colmo del furore le fece strappare o
tagliare i seni con enormi tenaglie.
Questo risvolto delle torture, costituirà in seguito il segno
distintivo del suo martirio, infatti Agata viene rappresentata
con i due seni posati su un piatto e con le tenaglie. Riportata
in cella sanguinante e ferita, soffriva molto per il bruciore e
dolore, ma sopportava tutto per l’amore di Dio; verso la
mezzanotte mentre era in preghiera nella cella, le appare s.
Pietro apostolo, accompagnato da un bambino porta lanterna, che
la risana le mammelle amputate.
Trascorsi altri quattro giorni nel carcere, viene riportata alla
presenza del proconsole, il quale visto le ferite rimarginate,
domanda incredulo cosa fosse accaduto, allora la vergine
risponde: “Mi ha fatto guarire Cristo”. Ormai Agata costituiva
una sconfitta bruciante per Quinziano, che non poteva sopportare
oltre, intanto il suo amore si era tramutato in odio e allora
ordina che venga bruciata su un letto di carboni ardenti, con
lamine arroventate e punte infuocate.
A questo punto, secondo la tradizione, mentre il fuoco bruciava
le sue carni, non brucia il velo che lei portava; per questa
ragione “il velo di sant’Agata” diventò da subito una delle
reliquie più preziose; esso è stato portato più volte in
processione di fronte alle colate della lava dell’Etna, avendo
il potere di fermarla.
Mentre Agata spinta nella fornace ardente muore bruciata, un
forte terremoto scuote la città di Catania e il Pretorio crolla
parzialmente seppellendo due carnefici consiglieri di Quinziano;
la folla dei catanesi spaventata, si ribella all’atroce
supplizio della giovane vergine, allora il proconsole fa
togliere Agata dalla brace e la fa riportare agonizzante in
cella, dove muore qualche ora dopo.
Dopo un anno esatto, il 5 febbraio 252, una violenta eruzione
dell’Etna minacciava Catania, molti cristiani e cittadini anche
pagani, corsero al suo sepolcro, presero il prodigioso velo che
la ricopriva e lo opposero alla lava di fuoco che si arrestò; da
allora s. Agata divenne non soltanto la patrona di Catania, ma
la protettrice contro le eruzioni vulcaniche e poi contro gli
incendi.
L’ultima volta che il suo patrocinio si è rivelato valido,
tramite il miracoloso velo, portato in processione
dall’arcivescovo di Catania, è stata nel 1886, quando una delle
ricorrenti eruzioni dell’Etna, minacciava la cittadina di
Nicolosi, posta sulle pendici del vulcano e che venne
risparmiata dalla distruzione.
Nel 1040 le reliquie della santa, furono trafugate dal generale
bizantino Giorgio Maniace, che le trasportò a Costantinopoli; ma
nel 1126 due soldati della corte imperiale, il provenzale
Gilberto ed il pugliese Goselmo, le riportarono a Catania dopo
un’apparizione della stessa santa, che indicava la buona
riuscita dell’impresa; la nave approdò la notte del 7 agosto in
un posto denominato Ognina, tutti i catanesi risvegliatasi e
rivestitasi alla meglio, accorsero ad onorare la “Santuzza”.
Nei secoli le manifestazioni popolari legate al culto della
santa, richiamavano gli antichi riti precristiani alla dea
Iside, per questo s. Agata con il simbolismo delle mammelle
tagliate e poi risanate, assume una possibile trasfigurazione
cristiana del culto di Iside, la benefica Gran Madre, anche se
era appena una quindicenne.
Ciò spiegherebbe anche il patronato di s. Agata sui costruttori
di campane, perché si sa, nei culti precristiani la campana era
simbolo del grembo della Mater Magna. Le sue reliquie sono
conservate nel duomo di Catania in una cassa argentea, opera di
celebri artisti catanesi; vi è anche il busto argenteo della
“Santuzza”, opera del 1376, che reca sul capo una corona, dono
secondo la tradizione, di re Riccardo Cuor di Leone.
Il culto per s. Agata fu talmente grande, che fino al XVI
secolo, essa era contesa come appartenenza anche da Palermo, la
questione è stata a lungo discussa, finché a Palermo il culto
per la santa, fu soppiantato da quello per s. Rosalia. Anche a
Roma fu molto venerata, papa Simmaco (498-514) eresse in suo
onore una basilica sulla Via Aurelia e un’altra le fu dedicata
da S. Gregorio Magno nel 593.
Nel XIII secolo nella sola diocesi di Milano si contavano ben 26
chiese a lei intitolate. Celebrazioni e ricorrenze per la sua
festa avvengono un po’ in tutta Italia, perfino a San Marino, ma
è Catania il centro più folcloristico e religioso del suo culto,
le feste sono due il 5 febbraio e il 17 agosto, con
caratteristiche processioni con il prezioso busto della santa,
custodito nel Duomo.
Vi sono undici Corporazioni di mestieri tradizionali, che
sfilano in processione con le cosiddette ‘Candelore’ fantasiose
sculture verticali in legno, con scomparti dove sono scolpiti
gli episodi salienti della vita di s. Agata. Il busto argenteo,
preceduto dalle ‘Candelore’ è posto a sua volta sul “fercolo”,
una macchina trainata con due lunghe e robuste funi, da
centinaia di giovani vestiti dal caratteristico ‘sacco’.
Tante altre manifestazioni popolari e folcloristiche, oggi non
più in uso, accompagnavano nei tempi trascorsi questi
festeggiamenti, a cui partecipava tutto il popolo con le
Autorità di Catania, devotissimo alla sua ‘Santuzza’. |